MANIFESTAZIONI FOLKLORISTICHE
RICORRENZE E MANIFESTAZIONI
I FUOCHI DEL VENERDI' SANTO
La Gàlęina Grisa
Nel giorno del Venerdì Santo, a metà pomeriggio si legavano le campane, tutte le funzioni religiose venivano annunciate dai chierichetti che partivano dal Sagrato della Chiesa e passavano da una via all’altra agitando uno strumento di legno, facendo un fracasso infernale, urlando e gridando " a lèèè al primm ad mãsã ” (è la prima chiamata per la messa), per attirare l’attenzione dei fedeli alla funzione sacra (il fracasso e le urla, per riprodurre lo strepitìo fatto dai Giudei durante la passione di Gesù).
Poi, nella serata del venerdì Santo, il venerdì antecedente la S. Pasqua (ultimo venerdì di Quaresima), oltre ai riti religiosi, i giovani del posto facevano e alcuni fanno ancora “I FUOCHI”, veniva bruciata una grossa catasta di legna ("una pila al pudàs” una catasta di legna fatta con i tralci recuperati dalla potatura delle viti), in seguito al posto della legna venero bruciati anche vecchi pneumatici di automezzi, oggi qualcuno usa bruciare all’interno di contenitori metallici del gasolio. Questa tradizione è piuttosto antica, probabilmente medievale, anche se nell’antichità il fuoco era considerato un elemento di purificazione che da calore e luce, quasi voler esorcizzare la paura del buio della solitudine, il fuoco teneva lontane le bestie feroci era una vera e propria arma di difesa dai nemici, con questi fuochi l’uomo volevano esorcizzarsi dai demoni che apparentemente avevano sconfitto il bene, la luce del fuoco per sconfiggere il buio e il freddo della notte. Il confine tra il sacro ed il profano è estremamente sottile, anche la religione ufficiale non contrasta queste usanze che derivano da religioni più antiche e che si riscontrano in certe aree geografiche ancor ben definite della nostra Penisola.
I giovani del paese, durante il giorno raccoglievano il combustibile per contribuire ad alimentare il fuoco che sarebbe stato acceso al giunger delle tenebre, questo rito popolare assumeva quasi un carattere liturgico, intorno al fuoco i giovani cantavano e qualcuno con spavalda esuberanza cercava sempre di fare il salto di questa pira per mostrare le sue doti di forza e coraggio (incoscienza). I fuochi nel paese potevano esser più di uno, spesso le compagnie dei giovani facevano a gara per fare il falò più alto, per quello che durava per più tempo, dalla fede si passava alla manifestazione della forza del gruppo.
La Gallina Grigia, è una festa certamente tra le più caratteriste ed antiche del nostro territorio, ha carattere specificatamente propiziatorio, ha corrispondenza addirittura con riti celtici legati all’astronomia ed alle stagioni strettamente connessi alla pastorizia, all’agricoltura ed anche alla cacciagione. Questi riti, perché trattasi di riti veri e propri, erano legati ai periodi solari e anche lunari: solstizi ed equinozi, quelli di luna nuova e di luna piena.
Le due feste celtiche più importanti dell’anno tropico, chiamate anche feste del fuoco erano:
- il Samhain, che cadeva nel periodo corrispondente al nostro 31 ottobre – 1° novembre, erano riti legati alla fine del periodo luminoso (primavere ed estate), l’inizio del periodo buio e freddo dell’anno, le giornate erano e sono caratterizzate dal un minor periodo di luce solare rispetto al tempo di mancanza di luce (notti più lunghe rispetto al giorno solare), si entrava nel periodo autunnale – invernale. In questo periodo le mandrie di animali dovevano esser portate nei ricoveri presso le abitazioni, i raccolti dovevano esser riposti nei fienili e nei granai o nelle cantine. Si entrava in un tempo che può esser definito di pausa, o meglio ancora di transizione statica, in attesa della rinascita (la primavera). Il mondo cristiano riprende questa “festa” e la collega alla fine della vita terrena, in tal periodo si commemorano i Santi e i Morti, per l’occasione le famiglie tornano nei loro luoghi d’origine, all’interno delle aree sacre (il Campo Santo o Cimitero) per ricordare, commemorare i loro cari defunti, in attesa della Resurrezione.
- Il Beltain o Beltane, festa che cadeva nel periodo degli attuali 30 aprile-1°maggio, inizio del periodo di luce solare più ampio, (le giornate sono caratterizzate da periodi di luce solare più lunghi rispetto ai periodi di buio notturni), in pratica siamo nel periodo primaverile – estivo dell’anno tropico. La natura si risveglia, risorge, la luce e il calore della nostra stella fanno sì che la vegetazione riprenda il suo ciclo vitale, gli animali riprendono a riprodursi, si prospetta un periodo di nuova abbondanza di cibo per l’uomo. I celti attribuivano allo “Splendente”, ovvero il dio Belanu, questa rinascita, successivamente i latini l’attribuivano alla “dea Bona”, dea che personifica l’abbondanza spesso associata anche a Cerere dea dei cereali, nel cristianesimo il mese di maggio è dedicato a Maria madre di Cristo che anche Lui risorge dalle tenebre, sconfiggendo il buio e la fredda notte della morte.
Va anche detto che questa tradizione di festeggiare l’arrivo della stagione luminosa e calda era molto frequente tra i popoli dell’antichità, anche perché la maggior parte della popolazione svolgeva un’attività agreste, mentre nelle società tecnologiche attuali, solo una percentuale bassissima della popolazione risulta dedita all’attività agricola, oggi la maggior parte della popolazione è concentrata nelle città e nelle megalopoli e il clima non risulta un fattore determinante sulla produzione, anche se in futuro certamente il clima risulterà determinante per la sopravvivenza della nostra specie. Nella zona centrale della nostra Nazione si festeggia il “calendimaggio”, una festa che ha certamente molta corrispondenza con la “Galeina Grisa”, ma sembra più legata alla cultura dell’antica Roma, il nome stesso Calen di maggio di derivazione latina (si rifà, senza ombra di dubbio, al calendario romano).
La liturgia di questa festa: nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio i giovani a gruppi andavano nelle aziende agricole, mentre si spostavano, camminando, da una cascina all’altra cantavano una nenia, diversa da un territorio all’altro, in lingua locale (dialetto), questa era una cantata propiziatoria legata alla fertilità sia dei campi che a quella degli animali e con sottintesi anche a quella degli abitanti dell’azienda. Gli agricoltori, generalmente attendevano con gioia l’arrivo di queste compagnie di ragazzi, sia perché portavano allegria, ma anche perché vedevano questo momento come termine del periodo freddo e buio, era l’uscita dall’inverno, la gioventù simboleggiava la bella stagione, la vita che riprende e che continua il suo ciclo, è la festa della vita. I ragazzi cantando in coro chiedevano cibo agli agricoltori, in modo particolare qui chiedevano “le uova” di quella gallina che ha ricominciato a produrle. L’uovo simbolo di rinascita, contenitore di vita. La nenia, che viene cantata è divisa in strofe, le prime tre e il ritornello hanno la finalità di supplica, richiesta, ma la quarta e la quinta strofa, assumono un carattere diverso a seconda del comportamento dei proprietari dell’azienda: hanno due varianti, queste sono strettamente legate alla generosità o all’avarizia dei padroni di casa, se i proprietari aprono e si mostrano ospitali e generosi, la quarta e quinta strofa sono di giubilo e ringraziamento e invocano la benedizione delle divinità sull’azienda e sulla famiglia; ma se gli agricoltori si mostrano ostili e contrari alla festa, la quarta e quinta strofa (versione B) sono di malaugurio verso l’azienda e chi la conduce.
Le varie compagnie di cantori, passano da una cascina all’altra, cantando e suonando sempre più allegramente, le massaie vengono messe a dura prova, perché dopo una giornata di lavoro nei campi, devono mettersi ai fornelli, a volte sino all’alba, il piatto tipico della stagione è rappresentato proprio dalle frittate e ogni massaia ha la sua frittata arricchita con qualche erbetta, ma, una volta terminate le uova passano ad un piatto più povero, ma pur sempre molto saporito e gradito: la bùrtlëjna, un piatto povero tipico del nostro appennino, frittata fatta con acqua e farina (qualcuno ci mette anche un uovo per litro d’acqua) ed un pizzico di sale, questa pastella viene fatta friggere nello strutto bollente obbligatoriamente in una padella di rame. Questa è ottima, anche se mangiata senza pietanze, ma spesso viene consumata con i prelibati salumi tipici della nostra valle, oppure con formaggi ed in particolare con gorgonzola cremoso, il tutto accompagnato dai nostri vini locali che aiutano la digestione ed in particolare alzano l’umore dei commensali.
I cantori spesso erano anche accompagnati da suonatori di piffero, flauto e nel recente passato anche da armoniche e fisarmoniche, nelle zone più interne del nostro appennino suonatori di piffero e flauto possiamo ancora trovarne, non sono numerosi ma in tali zone certe tradizioni sono ancora vive.
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FERRAGOSTO TREVOZZESE
Anno 1969
'71
'74
Il 15 di agosto, per Trevozzo, non è solo il ferragosto ma è la sagra del paese, Trevozzo festeggia Santa Maria Assunta,
alla quale è consacrata la chiesa settecentesca, va anche ricordato che il giorno successivo si festeggia San Rocco di Montpellier, tradizione molto antica e legata al castello di Trevozzo, infatti poco distante da questo, vi è un terreno ove si dice che vi fosse una cappella dedicata a tale Santo, tant'è che il mulino che fu costruito su tale fondo venne chiamato "Mulej ad San Roc", qualcuno collega il Castello alla leggenda del cane di San Rocco, gli anziani del paese ancor oggi, quando vedono un cane o anche un altro animale denutrito, pronunciano la tipica frase "l'è magar mè al cà ad San Roc ".
Durante il Ferragosto Trevozzese, generalmente il 16 agosto veniva dedicato ai giochi popolari, il più tipico ed antico era il "salto dell'oca ", dove i giovani si cimentavano gagliardamente in questa gara, che era un po’ la parodia della vita arcaica del paese, anche se possiamo trovare tante analogie dei nostri tempi: l’oca, o meglio l’oca giuliva era la giovane del paese un po’ lasciva, quella alla quale tutti i giovani facevano la corte; nella gara l’oca era appesa per le gambe a penzoloni ad corda che inizialmente era irraggiungibile da tutti i pretendenti (giovani del paese), questi tentavano di prendere il fazzoletto che era attaccato al collo della povera pennuta, a turno tutti provavano il salto ma nessuno poteva raggiungere l’ambita preda, dopo tre tentativi l’oca veniva abbassata di qualche centimetro (l’oca giuliva, col passar del tempo, si rendeva più disponibile), ed i contendenti riprovavano ancora (ogni contendente aveva tre possibilità), ma l’altezza quasi sempre risultava troppo alta per tutti i baldi givani; a tal punto l’oca veniva ancora abbassata di qualche centimetro, la gara ripartiva da capo, i più agili insieme ai più alti potevano toccare il fazzoletto, rischiando di farlo scendere e di favorire il concorrente successivo, ma spesso anche l’oca giocava il suo ruolo, ritraendo il collo e aumentando in tal modo la distanza dal terreno, (l’oca sembrava quasi voler dire “decido io chi sarà il vincitore”, al tempo stesso rappresentava il caso che nella vita gioca sempre un ruolo piuttosto importante). Il gioco proseguiva sin tanto che uno dei competitori non riusciva ad agguantare il fazzoletto con la mano, a quel punto il giovane mostrava agli spettatori il piccolo drappo correndo con il braccio alzato per aver vinto la gara, i suoi amici festeggiavano con lui, nella realtà dell’oca non gli interessava più di tanto, perché questa sarebbe finita nel tegame e consumata da tutti i partecipanti, così anche nella vita spesso l’oca giuliva una volta conquistata non è ambita da nessuno se non per la sua carne…….
Altro gioco tipico era la corsa nei sacchi, i sacchi erano legati ai mulini ed alla campagna, Trevozzo un paese ricco di mulini al servizio del contado.
Ai più piccini la prova di abilità con la corsa dell’uovo nel cucchiaio, con le varianti a seconda dell’età dei gareggianti, il cucchiaio per i più giovani poteva essere tenuto in mano, per quelli un po’ meno giovani in bocca.
Ultimo gioco tipico delle campagne l’albero della cuccagna, nel corso degli anni per render la manifestazione più interessante e divertente si sono aggiunti altri giochi, come: la cuccagna sull'acqua, il gioco della candela, la mela penzolante, spacca pugnat ed altri ancora..<
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La turta col musch
La "turta col musch", torta tipica trevozzese, a base di pasta frolla e marmellata di prugne, la variante è generalmente costituita dal tipo di marmellata che può essere di cilige, pesche o altri tipi di frutta, nella foto a sinistra alcune donne del paese in occasione della Sagra preparano il prelibato dolce, che accompagnato con un bicchiere di Gutturnio vino rosso locale o di bianco valtidone rappresentano un'ottima merenda od un fine pasto.
'94
Ferragosto trevozzese anni '60
AL PANEI COL CUDGHEJ (Il PANINO CON IL COTECHINO)
Altro cibo proposto durante le manifestazioni il panino con il cotechino lessato, cibo gustoso, più adatto nella stagione invernale ma è talmente appetitoso che viene consumato tutto l'anno. In tutte le sagre, le fiere, le feste popolari, è presente è riscuote sempre un gran successo.
Sant'Antonio abate o Sant'Antoni dal gogn
Bella festa di Sant’Antonio abate
Anche quest'anno la festa di S. Antonio Abate è riuscita molto bene. Non c'erano mai stati tanti cavalli: una cinquantina, provenienti da vari paesi della Val Tidone ma anche da altre vallate. 

Oltre ai cavalli, c'erano anche tanti animali domestici: cani, gatti, colombi e conigli. C'era anche il furgoncino di Learco pieno di cani da tartufo. Sul piazzale della Chiesa ove si è svolta la cerimonia della benedizione degli animali e delle auto, era stata allestita una mostra di carrozze e di attrezzi artigianali usati nel passato dai nostri agricoltori, dai mugnai, dai muratori e dai trasportatori di prodotti necessari alla vita dei nostri abitanti. C'erano anche alcune seggiole, impagliate a mano con la vera lisca naturale dal nostro artigiano Fuso Nerini Gianni. Al momento della benedizione dei cavalli è stata consegnata a ciascun cavaliere una bella pergamena, e ai più assidui, un giglio in argento. Una menzione particolare è stata fatta per Alberto Contini, falegname e per Bertino Braga, mugnaio e commerciante di cavalli, scomparsi da qualche anno. Nel vicino cortile dell'Asilo parrocchiale era stata allestita una cucina per la cottura di squisiti cotechini donati dal nostro macellaio Carlo Braga. Purtroppo non posso fare i nomi degli organizzatori della festa perché mi è stato proibito da loro stessi. Sono autorizzato a scrivere soltanto che la festa è stata organizzata dagli "AMICI DI S. ANTONIO". Lo stendardo del santo, che ha guidato il corteo da Piazza Giovanni XXII al piazzale della Chiesa, era stato preparato dal nostro pittore Cavanna Francesco. La Cassa Rurale di Creta, che ha aperto da poco tempo un'agenzia sulla piazza di Trevozzo, ha sponsorizzato la manifestazione con un contributo di 500.000 lire per la parrocchia e un altro per le spese di organizzazione pagate anche con le offerte fatte dai cavalieri al momento della benedizione dei loro cavalli sul piazzale della Chiesa. Terminata la benedizione degli animali, è stata celebrata la S. Messa perché, mi ha detto AIdo Bengalli "la festa è prima di tutto religiosa". 

Dopo la S. Messa, c'è stata la benedizione delle auto. Il coro dei giovani e dei ragazzi di Trevozzo ha accompagnato con canti appropriati i vari momenti della celebrazione. Tutta la comunità di Trevozzo ringrazia gli organizzatori che con il loro impegno, la loro genialità e il loro sacrificio, hanno contributo a far trascorrere a tutti i partecipanti una mezza giornata di sana e serena allegria, nel solco di una bella tradizione che vogliamo continuare. Solo con il volontariato si riesce a tener in piedi queste belle feste di paese. Gli attrezzi agricoli che erano esposti in mostra erano: un carro agricolo a 4 ruote. una "barra" (il camion di una volta), il carretto del mugnaio due carrette per trasporto a mano in legno. Il pezzo più pregiato era costituito dalla carrozza "Vittoria Milord".
Da: “LE CAMPANE di Trevozzo e S. Maria del Monte” – Pasqua 1998 – pag. 14
Sant'Antonio Abate
1988
2008
2012
Festa di Sant’Antonio
La Festa di Sant'Antonio Abate è per la comunità
di Trevozzo una tradizione che si tramanda
ormai da anni ed anche quest'anno abbiamo voluto rendere
omaggio a questo
Santo a noi tutti così caro. Così, domenica
20 gennaio, in un sagrato gremito di gente e allietato dalla vivace presenza di piccoli amici domestici abbiamo festeggiato tutti insieme.
Nell'iconografia della Chiesa, Sant'Antonio viene sempre raffigurato attorniato da animali ed in particolare compare sempre vicino a lui il porcellino; ed infatti Sant'Antonio Abate è da sempre
considerato patrono di questa specie e, per estensione, di tutti gli animali domestici
e della stalla
oltre che santo protettore del popolo contadino; forse è anche per questi motivi che la devozione verso questo santo è così forte in un paese di tradizione agricola e rurale quale
è la realtà di Trevozzo da
sempre fortemente legata alla figura di questo santo. Negli anni si è consolidata la tradizione della benedizione degli animali allevati ed impiegati
nelle varie attività
agricole e per il
sostentamento delle famiglie,
affinché attraverso l'intercessione del Santo venisse
assicurata loro protezione.
Oggi questa festività ha un significato diverso, lo dimostra il fatto che a popolare il sagrato erano esclusivamente animali domestici quali cani, gatti e persino
un coniglietto. La richiesta benedizione dei nostri animali domestici intende
testimoniare l'amore e la gioia che questi piccoli
amici sanno dare, senza
trascurare l'implicito desiderio
di ottenere per loro una vita lunga e senza malattie.
Nonostante la giornata fredda numerosi sono stati coloro che hanno partecipato a questa celebrazione condividendone lo spirito festoso.
Per l’occasione, inoltre,
il sagrato si è riempito di attrezzi agricoli di una volta, evocazione di antiche usanze e tradizioni.
Dopo la benedizione
singola di tutti gli animali
presenti ci si è
riscaldati con un buon vin brulè e un ottimo
panino. L'augurio è quello di poter ripetere
l'anno prossimo con altrettanto successo!
Nico
Da: Famiglie Parrocchiali – Unità Pastorale Alta Val Tidone
– N 1 anno 2008 – pag. 26